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“È timido”, “È testarda”: quando le etichette diventano realtà

Aggiornamento: 2 giorni fa

Quante volte abbiamo sentito (o detto) frasi come:

  • “È sempre stato un po’ pigro…”

  • “Lei è una leader nata!”

  • “Lui è il classico bambino che non ascolta.”

  • “Ha un carattere difficile, bisogna stargli dietro.”

Spesso queste definizioni sembrano innocue, quasi affettuose. A volte ci escono senza pensarci troppo, in una conversazione con altri adulti, magari mentre il bambino è lì accanto, apparentemente distratto.

Eppure, dietro quelle frasi c’è un rischio sottile ma reale: quello di trasformare un’impressione in un’identità. Un’etichetta in un destino.



Che cos'è la profezia che si autoavvera?

In psicologia si parla di profezia che si autoavvera per descrivere un fenomeno molto semplice: se trattiamo qualcuno come se fosse in un certo modo, è molto probabile che quella persona finisca davvero per comportarsi così.

Succede anche (e soprattutto) con i bambini.

Se un bambino sente dire spesso che è timido, smetterà gradualmente di provare a mettersi in gioco.Se una bambina sente dire che “è sempre la più brava”, potrebbe iniziare a temere l’errore, a evitare le sfide per non perdere quell’immagine.Se un bambino viene etichettato come “difficile”, riceverà spesso sguardi preoccupati, interventi autoritari, meno pazienza… e reagirà di conseguenza.

Il punto è questo: i bambini credono a ciò che diciamo di loro.E quando un bambino si convince di “essere” in un certo modo, quella convinzione modella i suoi comportamenti, la sua autostima, la sua visione di sé.



Le etichette non descrivono: costruiscono

È importante capire che le etichette — anche quelle dette con amore — non si limitano a descrivere un comportamento. Lo influenzano. Lo fissano. Lo rafforzano.

Questo vale anche per le etichette positive, perché definire un bambino come “bravissimo”, “perfetto”, “intelligentissimo” può creare pressione, ansia da prestazione, paura di deludere.

Un bambino non è mai una cosa sola: non è “quello timido”, né “quello vivace”, né “quello disobbediente”.È una persona in evoluzione, che cambia, esplora, sperimenta. E ha bisogno di adulti capaci di vedere oltre il momento, oltre il comportamento, oltre l’etichetta.



Allora cosa possiamo fare?

  1. Osservare senza giudicareInvece di dire “è testardo”, possiamo osservare:“Fa fatica ad accettare proposte diverse dalle sue.”Questo piccolo cambio di linguaggio ci aiuta a vedere il comportamento, non l’identità.

  2. Parlare dei comportamenti, non delle persone“Hai urlato molto oggi” è diverso da “Sei un bambino maleducato”.Il primo messaggio è riformulabile, il secondo è un’etichetta.

  3. Aprire possibilità, non chiuderle“Di solito ti piace osservare prima di partecipare” è molto diverso da “Sei timido”.Lascia spazio per essere anche altro, per cambiare, per sorprendere.

  4. Coinvolgere il bambino nella riflessione su di sé Chiediamogli:“Come ti sei sentito in quella situazione?”“Cosa ti ha fatto arrabbiare?”“Cosa potresti fare la prossima volta?”Così gli restituiamo voce e  possibilità.

Nomi che fanno crescere

Il nostro modo di comunicare con i bambini  ha un potere enorme. Le parole che usiamo per parlare dei bambini — e con i bambini — possono nutrire o limitare.

E allora, la prossima volta che stai per dire “è fatto così”, prova a chiederti:

“Sto descrivendo o sto decidendo per lui chi deve essere?”

Ogni bambino merita uno sguardo che lo veda in divenire.Non per come appare oggi, ma per tutto ciò che ha il potenziale di diventare.


 
 
 

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