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Se mi sporco non mi sgridare”: educare alla libertà di esplorare

Aggiornamento: 2 giorni fa

Se mi sporco, non mi sgridare.

L’ho sentita dire da un bambino, un giorno, mentre si avvicinava con le mani piene di terra e un sorriso grande così. Me la sono annotata subito. Quelle frasi che ti restano dentro come una piccola scintilla. Quelle frasi che ti obbligano a fermarti un attimo e chiederti: “Che cosa vuol dire, davvero, educare?”

Nel tempo, ci ho ripensato tante volte. Anche ora, che sto aprendo il mio negozio e studio pedagogico, mi accorgo che questa frase mi accompagna. Mi fa da bussola, proprio come quella, celebre, di Maria Montessori: “Aiutami a fare da solo”. Ma qui il messaggio è ancora più viscerale, più istintivo. Parla di corpo, gioco, libertà, scoperta. E di adulti che spesso, con le migliori intenzioni, finiscono per frenare ciò che invece dovrebbe essere protetto.



Il bambino come esploratore: corpo, esperienza, mondo

I bambini conoscono il mondo attraverso il corpo. Non c’è apprendimento vero senza esperienza diretta. Non si impara cos’è la terra leggendo una definizione. Lo si scopre toccandola, impastandola, modellandola, rotolandoci dentro.

Il fango, la sabbia, la farina, l’acqua, la pittura… non sono solo “materiali”: sono opportunità di relazione. Con sé stessi, con gli altri, con il mondo. Sporcarsi, in questo senso, è un atto di libertà e di conoscenza.

E allora perché ci viene così naturale dire: “Stai attento!”, “Non toccare!”, “Così ti sporchi!”, “Guarda che ti cambi dopo!”



Una pedagogia che non teme il disordine

Durante gli anni di studio alla Bicocca, guidata dai testi e dal pensiero di Riccardo Massa, ho imparato a guardare l’educazione come qualcosa che nasce nell’esperienza reale, concreta, situata. Non nei modelli ideali. E l’esperienza reale, si sa, è fatta anche di sporco, inciampi, rumore, disordine.

Una pedagogia che accoglie il disordine non è una pedagogia disattenta. Al contrario: è una pedagogia che non si spaventa dell’imprevisto, che sa che è proprio lì, in quel gesto non previsto, in quella pozzanghera saltata “fuori copione”, che può nascere qualcosa di significativo.

“Se mi sporco non mi sgridare” è, in fondo, un altro modo per dire:“Lasciami provare. Abbi fiducia in me. E stai con me, anche se mi sporco.”



Sgridare o accompagnare?

Quando un bambino si sporca, spesso la nostra reazione non è solo educativa. È sociale, culturale, emotiva. Ci preoccupiamo del giudizio degli altri, della pulizia, del tempo perso. Ma se ci fermiamo un attimo, se proviamo a guardare con occhi pedagogici, forse possiamo chiederci:

  • Perché lo sto sgridando davvero?

  • Cosa sta imparando in questo momento?

  • Cosa posso fare per accompagnare l’esperienza invece di bloccarla?

Educare, lo dico spesso alle famiglie che accompagno, non è impedire che il bambino si sporchi, ma aiutarlo a riconoscere i contesti, i limiti, e allo stesso tempo a vivere pienamente il corpo, il gioco, l’esplorazione.



Il mio spazio educativo: anche qui ci si può sporcare

Nel mio negozio/studio sto selezionando materiali, giochi, proposte che non temono il disordine. Che invitano a toccare, costruire, manipolare, destrutturare. Perché è proprio da lì che può nascere una forma di apprendimento autentico e duraturo.

Proporrò laboratori in cui si potrà sporcare con la farina, la tempera, la terra, l’acqua. Giochi che non impongono regole predefinite, ma che si lasciano costruire e decostruire. E nelle consulenze pedagogiche parleremo anche di questo: di come si costruisce uno sguardo adulto che non punisce, ma accoglie e accompagna.



Conclusione: una nuova domanda da portarci a casa

Se sei un genitore, un insegnante, un educatore, forse anche a te è capitato di dire “Attento che ti sporchi!”. È umano. Non è un errore. Ma possiamo provare, ogni tanto, a fare un passo indietro. A chiederci:

E se mi sporcassi anche io, un po’?

Perché forse è proprio lì, in quel gesto istintivo, che si nasconde una possibilità di incontro vera. Tra adulti e bambini. Tra pedagogia e vita.


 
 
 

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